L’esperienza di cooperazione presso una Comunità Terapeutica del maniaghese. Articolo uscito nella Gazzetta della Cooperativa Itaca di Pordenone nel 2018, è anche on-line al sito:
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… quando ancora non c’erano le REMS … È esistita, esiste e resiste ancora una Comunità Terapeutica nel maniaghese, quella di “Via Colle”, nata nel lontano 2009, frutto della coprogettazione tra l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 “Friuli Occidentale” (ora AAS 5) e la Cooperativa Itaca di Pordenone.
L’animazione della Struttura, di proprietà dell’Aas n. 5, nel 2009 è stata affidata alla Cooperativa Itaca, col fine di realizzare – attraverso una costante co-progettazione con i Servizi Pubblici – una Comunità Terapeutica “ad alta intensità socio-assistenziale”, aperta sulle 24 ore e 7 giorni su 7, priva di una connotazione di tipo esclusivamente “sanitario”, finalizzata ad accogliere persone afferenti al Dipartimento di Salute Mentale di Pordenone. In linea con le recenti normative nazionali, inoltre, questa Comunità Terapeutica mira anche a progettare dei percorsi alternativi e differenti rispetto agli “inserimenti” negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, offrendo – attraverso la partecipazione alla “vita di comunità” – dei percorsi di accoglienza, condivisione, cura, socializzazione, riabilitazione e integrazione nel territorio anche per queste persone.
Pur dovendosi interfacciare con un contesto sociale storicamente “fragile” e tradizionalmente conservatore rispetto alle politiche socio-assistenziali e di integrazione nel Territorio, dal 2009 la Comunità ha già ospitato 28 persone: di queste, 16 sono stati ex detenuti provenienti dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, 2 dalle carceri;15 sono già state dimesse dalla Comunità, verso altre strutture presenti nel Territorio e presso domicili privati; inoltre, per 3 persone è stato possibile creare ex novo un Gruppo-Appartamento nel territorio maniaghese.
Questo è stato possibile innanzitutto stabilendo delle reti sociali con i Servizi e le Associazioni presenti nel Territorio (a titolo esemplificativo, si ricordano il Comune di Maniago-Assessorato alla Cultura, la Scuola di Mosaico di Spilimbergo, la Comunità “Casa Carli” e i Servizi Educativi Territoriali di Maniago-Spilimbergo; la Cooperativa “San Mauro”, il Maneggio “Gelindo dei Magredi”, la Coop. Service “Noncello”, l’Associazione “Maniago Nuoto”, l’Associazione AITSAM, la Polizia Municipale di Maniago, i Carabinieri di Maniago, l’Associazione “L’Artistica” di Maniago, La “Contrada dell’Oca”…).
Successivamente, è stato fondamentale promuovere dei laboratori di gruppo e delle attività socio-riabilitative a partire “dal basso”, ossia incoraggiando gli scambi intersoggettivi e gli incontri conviviali tra operatori di cooperativa ed ospiti della Comunità. Tra questi, spicca la creazione di un gruppo musicale composto da operatori ed ospiti della Comunità, i Michael and The Revolution, che si sono esibiti già diverse volte nel Territorio.
Il messaggio generale che si palesa nella struttura – custodito e trasmesso dagli stessi pazienti e operatori della Comunità – è che “ogni utente è sì un ospite, ma è soprattutto parte attiva del processo di vita e di cura; non frequenta semplicemente il gruppo, ma lo costituisce”. Dunque c’è una forma di “responsabilità diffusa” riguardo l’allestimento di uno spazio d’accoglienza all’interno della Comunità: tutti possono partecipare alla riabilitazione e ogni soggettività, se adeguatamente valorizzata, può diventare una risorsa per la collettività. Allo stesso modo, le attività non sono dei “pacchetti” precostituiti e “asettici”, finalizzate esclusivamente alla trasmissione di nozioni o concepite con lo scopo di animare o divertire i destinatari. Al contrario queste vengono ideate, pianificate e realizzate avvalendosi anche – e soprattutto – della collaborazione dei pazienti stessi. Per il benessere della collettività.
A tal proposito, si evince della saggezza nel coinvolgere nel lavoro di cura istituzionale degli operatori di Cooperativa, in quanto soggetti terzi, non esclusivamente sanitari: persone che non fanno un corpo unico con l’Istituzione (depotenziando il fantasma delle istituzioni «totali»), ma che si prendono cura assieme alle Istituzioni di una soglia d’attesa istituzionale, vitale per l’altro, senza psichiatrizzare, sanitarizzare o psicologizzare troppo il campo del sociale; anzi, aprendolo alla possibilità di valorizzare e custodire delle tracce di soggettività del paziente.
Ma si arriva al 2013: si inizia a (s)parlare di chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziarie di creazione di Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza Esterna (REMS). Due posti letto della Comunità maniaghese vengono destinati ad una funzione REMS provvisoria, ed esplodono le polemiche: mentre la cittadinanza territoriale dibatte se sia meglio “metterli vicino al carcere” oppure “blindarli tutti in Via Colle” (cit. di alcuni titoli dei principali quotidiani locali), le Istituzioni Pubbliche si arenano nel tentativo di mostrare una parvenza di sicurezza e normalità, sostenendo che esisterebbero dei “piani anti-rischio” e “più telecamere e sicurezza perimetrale”. Ma la frittata è fatta: l’opinione prevalente è che tutta la Comunità sia ora un carcere, per cui d’ora in avanti farà più notizia il fatto che una persona ricoverata possa “scappare”, piuttosto che allontanarsi volontariamente e magari rientrare di sua scelta in Comunità, attribuendo alla struttura stessa e al personale che vi opera una funzione di aiuto, sostegno e di cura; tutte situazioni che l’utenza spesso difficilmente trova all’esterno. Eppure chi lavora in Salute Mentale, o più in generale si occupa di assistenza e cura alla persona, ben sa quanto sia difficile riuscire ad instaurare e mantenere relazioni terapeutiche significative con l’utenza, soprattutto quando manca ancora nell’altro l’esplicita consapevolezza di stare cercando e/o di avere bisogno di aiuto. Da qui il passo è breve nel passare dal non conoscere i veri problemi al provare paura. Anche se numerose ricerche cliniche condotte sulla popolazione mondiale dimostrano che le persone affette da sofferenza mentale compiono reati in misura assai inferiore rispetto al resto della popolazione, anche se vi sono dati statistici che attestano che vi è minor rischio di reiterazione di reati in persone con sofferenza psichica, rispetto al resto degli abitanti.
Private della possibilità d’instaurare con le istituzioni un vero “lavoro di rete”, queste nuove offerte di legame sociale che usualmente si creano all’interno delle Comunità, rischiano di essere spogliate della loro funzione transizionale fra istituzione e società, spazio interno ed esterno, soggetto e mondo. Generate in tal modo, possono potenzialmente ricreare luoghi manicomiali, magari dotati di ogni sorta di comfort per mascherare un sottostante (e illusorio) controllo sociale, alimentando così l’immaginario persecutorio dello psicotico, oppure annichilendolo, attraverso la fallace promessa di una qualche forma di normalità, di soddisfazione di ogni tipo di bisogno (alloggio, sigarette, soldi, svago...), senza chiedere apparentemente nulla in cambio. Così intesa, tale funzione relazionale ed intersoggettiva cessa di essere confine, risorsa, fonte di apertura, offerta di un contesto relazionale e affettivo entro il quale – per esempio - un giovane ospite possa aprirsi, mettersi in gioco, sperimentarsi, interrogare e interrogarsi, reinserirsi nelle reti del legame sociale, curarsi e prendersi cura del mondo che lo circonda. Un utilizzo inappropriato della funzione terapeutica, difatti, rischia di rafforzare la sfiducia che l’utenza con problematiche psichiatriche tende già a riversare sui Servizi di Salute Mentale e, in generale, sulle istituzioni.
La verità è un’altra: le REMS – occorre dirlo – sono un falso problema, uno specchietto per le allodole. Perché non è con la creazione di una REMS – magari lontano dai centri abitati, cinta da mura altissime e con un fossato pieno di coccodrilli – che si promuoverà salute e benessere, o si curerà e farà meglio prevenzione… Al contrario: si creeranno nuovi mini OPG. Il vero problema, crediamo, resta quello di riuscire ad andare oltre e ri-dimostrare che l’impossibile può divenire possibile, che si può ancora una volta partire da una realtà tendenzialmente “chiusa”, per aprirla al senso del collettivo, demolendo in nuce il sistema manicomiale e gli invii in Rems: così come la Comunità di “Via Colle” si è sempre protesa per l’integrazione di pazienti provenienti dal Territorio, con e senza misure di sicurezza, ancor prima che vi creasse una funzione REMS al suo interno. La Rems di Maniago infatti non ha trasformato la Comunità Terapeutica, bensì la sfida è che questa si riesca a caratterizzare come una funzione interna della Comunità, in una logica “pro tempore”.
Ma questo obiettivo sociale sarà perseguibile solo se si discuterà in primo luogo di problemi reali, non di “fantasmi”, e si valorizzeranno le buone pratiche e le reciproche professionalità, rivitalizzando un contesto sociale all’apparenza fragile, ma ricco di potenzialità. Inoltre, sarà necessario costruire e promuovere delle comunità scientifiche meno asettiche e sufficientemente aperte e presenti nei vari Territori, ove le esperienze pilota e le buone pratiche possano circolare e coinvolgere tutti gli attori sociali (pazienti, operatori sociali, infermieri, medici, volontari, sindaci, cittadini, cooperative, magistrati, giornalisti, sindacati, associazioni…), con l’obiettivo di superare assieme sì l’istituzione manicomiale, ma anche il pensiero manicomiale, per favorire il benessere della collettività.
Dott. Massimiliano Paparella
Psicologo Psicoterapeuta
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