Il rischio psicopatologico esprime la percentuale che si avveri un certo evento in una data popolazione, e si suddivide in rischio ambientale e relazionale (es. dati due “genitori maltrattanti ", c’è una buona probabilità che il figlio sviluppi aspetti psicopatologici) e in rischio biologico (la “vulnerabilità” genetica), che concorrono spesso assieme nel determinare la probabilità che un evento si verifichi.
Occorre tenere sempre presente che il rischio è una percentuale, e non una patologia: non si cura, dunque, ma si può solo prevenire.
Spesso le istituzioni e i governi sono d’ostacolo alla prevenzione del rischio psicopatologico: i tempi legali che trascorrono prima di potere togliere ad una madre tossicodipendente un figlio, per esempio, sono lunghissimi, e quando finalmente ciò è possibile spesso il bambino è ormai già grande e con evidenti manifestazioni patologiche.
Oggi, col fine di aggirare tali difficoltà, sono stati istituiti ad esempio dei gruppi famiglia, delle comunità alloggio, dei gruppi appartamento o c’è la possibilità di promuovere un affido a breve termine (che in Italia vede come affidatari a breve termine soprattutto i nonni). E’ stato riscontrato, infatti, che anche l’affidare temporaneamente il bambino con disagio conclamato oppure la persona con svantaggio psicosocial, diminuisce la percentuale di rischio psicopatologico e, allo stesso tempo, permette alla famiglia di riprendersi.
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